Gabriele Mattera

San Carlo, Galleria d’arte, Napoli

01/05/1963 - 20/05/1963


mostra gallery testi critici catalogo

Gabriele Mattera

Carlo Barbieri

luned́ 1 aprile 1963

Tra i misteri della provincia (ed è tale anche la configurazione isolana) talune cose sono assolutamente indelebili.

Per esempio a Ischia, così vicina a Napoli, il centro formicola, l’estate, di mondanità; assume, ogni giorno più, un tono cosmopolita che va dallo snobismo alla banalità; e, bellezze naturali a parte, da questo centro si va irradiando – a macchia d’olio – una vita superficiale che la rende sempre meno provinciale, iscrivendola negli itinerari del turismo internazionale: questo mostro stupidamente livellatore.

Eppure, in realtà, le cose non stanno così: e a un occhio attento riappariranno le vecchie assisi sotto i fronzoli dell’occasione; e, quando non siano state distrutte dal piccone, esse ci faranno cenno, e tanto più preziose appariranno quanto più diradate, mortificate, arretrate.

E così anche nel costume: consuetudini e riti riappaiono non solo nelle parole dei vecchi, ma, nella realtà, ad opera dei giovani che continuano, talvolta in sordina, quelle voci che ci parvero, in un primo momento, dissipate dal frastuono vicino.

Siamo, così, tornati in provincia, a Forio, Barano, dieci e dieci albri borghi, ritroviamo – a guardar bene – il loro accento così affettuosamente provinciale e, a malgrado di tutto, i loro particolarismi, le loro idiosincrasie, le loro bizzarrie.

 

 

 

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A Ischia (Castello) opera e lavora un giovane pittore più noto in Germania che in Italia, più conosciuto a New York che ad Ischia. Si chiama Gabriele Mattera, ed è bene che non dimentichiate questo nome.

Mattera ha studiato (cioè vissuto, sognato, farneticato) in contiguità con un originale e autentico artista isolano (che è poi anche ibero-americano) dal bel nome di bucaniere: Bolivar. È lui che gli ha allevato i sogni aspergendoli delle sua magia.

Ma Mattera è andato per conto suo, e oggi presenta un ciclo di ritratti straordinari, bloccando volta per volta le effigi di tutti i pescatori e i marinai di quell’estremo lembo dell’isola, in espressioni di nocchieri, di invasati, di veterani, di ergastolani, di veri e propri pirati, nonché di bonari dissennati.

Tutta semplicissima gente, in cui il pittore ha saputo scoprire e coltivare quel granello di follia che è in ogni uomo, dilatando fino a non lasciare adito a residui di altre disposizioni dell’animo.

Guardate quelle mani massicce, tutte ammucchiate nella stessa positura (e par di rivedere l’incubo anatomico del messicano Orozco) quei volti allucinati, striati di luci diaboliche, corrosi e seviziati dalle tempeste, stralunati, marezzati come conchiglie, preziosi come vecchie pergamene.

E guardate ancora.

 

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