Gabriele Mattera opere 1993 - 1995

Galleria Del Monte . Forio

12/10/1996 - 12/11/1996


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La pittura come durata

Angelo Trimarco

venerd́ 28 giugno 1996

La pittura come durata 

La lentezza, la durata, la serie. Intorno a queste figure Gabriele Mattera annoda a sua vita e la vita dell’arte: un’esperienza che si svolge, lenta ma tenace, nel corso lungo degli anni («Durata non c’è nella pietra immortale, / preistorica, / ma contro il tempo» avverte Peter Handke). Una durata, «incerto rifugio», che, quasi in cinquant’anni, è diventata l’orizzonte nel quale l’artista ha dato forma al suo lavoro. Alla serie dei suoi dipinti, forse meglio: alla serie dei «Pescatori», dei «Bagnanti», delle «Tende» e a quest’ultima ancora senza nome. La serie più recente dice di una pittura dalla quale, dopo l’astinenza delle «Tende», riaffiora, come dalle lontananze della memoria, fra le stratigrafie del colore, nuovamente acceso, (e, talvolta, perfino aggressivo), la figura umana. O, più precisamente, si affacciano profili e immagini, appena segnati, di volti e corpi che, attraversando i rossi e i verdi e quei filamenti di blu, accendono di luce improvvisa e panica la superficie.

La pittura con lentezza e durata, si è detto. Come un tempo che si snoda, oltre i suoi vortici e le sue vertigini, all’interno di luoghi raccolti, preservati dal rumore del mondo, silenziosi (per quanto possibile). La durata – questo tempo che scorre lento – concentrata nella serie della pittura di Mattera, ci ricorda come questo modo di dipingere ha ritmi, cadenze, scansioni, rigori così diversi dalla forma dell’opera singola. È una differenza di tempo, appunto. In gioco c’è proprio il tempo come attimo e il tempo come durata. «Chi non ha mai provato la durata / non ha vissuto», dice ancora Handke. Ma lo potrebbe ripetere anche Gabriele Mattera (ne sono sicuro).

 

Gabriele Mattera, fin dagli anni Cinquanta, da quando, dopo un primo (breve) girovagare fra le cose della pittura, ha incominciato a lavorare ai «Pescatori», ha sempre costruito il suo lavoro per serie. Appunto, i «Pescatori», i «Bagnanti», le «Tende» sono i passages che lo hanno condotto, ora, a riprendere, degli accordi iniziali, il tema della figura.

Lavorare per serie, si è ricordato, è impegnare il tempo in quanto durata. È lungo questa distesa infinita che si pone, credo, non solo il gioco dei rinvii e dei rimandi, inevitabile, da un dipinto all’altro, quanto l’idea stessa che è il tempo a tramare i movimenti del dipingere, le tessitura fitta e secca della pittura.

Dipingere in serie è stabilire relazioni fra opera e opera, con la consapevolezza, però, che ciascuno dei dipinti è un frammento di un quadro più ampio, totalizzante. Del quadro del tempo come durata.

Così, ogni dipinto rinvia all’altro a all’altro ancora in una successione infinita (ma non necessariamente lineare): in una sequenza, anzi, aperta e rischiosa. Difatti, quel che conta non è tanto la compiutezza formale della singola opera ma i legami e i rapporti che un dipinto stabilisce con gli altri nella serie. Quel che importa è la rete delle varianti che impongono, nella serie, differenza. La differenza tra i «Pescatori» o le «Tende». Quel bianco che si insinua nell’apparente omogeneità della sequenza.

La lentezza, dunque, non è soltanto il tempo della realizzazione dell’opera, ma, più radicalmente, segna gli scarti, tante volte impercettibili, che si generano, nella serie, fra opera e opera, fra «bagnanti» e «bagnanti», «tende» e «tende».

 

Mattera ricorda come ciascuna delle serie alla quale ha dedicato la sua vita ha la durata di dieci-quindici anni. Così, la serie, nella sua lentezza, finisce con il coincidere con il vissuto stesso dell’artista, coi suoi rovelli e le sue ansie, ma anche con le sue speranze. E speranza suprema è che la pittura sia un evento che racchiuda in sé, in un estremo sacrificio, la natura e il linguaggio, il vivere e l’ombra che sempre l’accompagna.

Dai «Pescatori» alla «Tende» – dagli anni Cinquanta al decennio appena trascorso – si svolge quella drammaturgia della pittura che ha come posta l’abbandono dei modi eccessivi della tradizione espressionistica. L’alleggerimento soprattutto delle presenze figurali nel corpo del lavoro si Gabriele Mattera. Dei «Pescatori» (e della loro aggressività) restano, ora, nelle «Tende» soltanto alcuni emblemi. Le «Tende» diventano segnali leggeri in balia del vento o del caldo, presenze mute e dilacerati, simboli dell’incertezza del vivere.

Le «Tende» scarnificano la struttura robusta dei «Pescatori», mutando in simboli e emblemi la loro pesantezza, il loro testimoniare a favore della natura e di una concezione della pratica pittorica ancora legata al rappresentare. Le «Tende» aprono uno spazio diverso, popolato di linee e colori, emblemi e simboli: spazio di dolore e concentrazione, di sofferenza e meditazione.

Le «Tende», dopo i «Pescatori» e i «Bagnanti», portano a compimento un discorso pittorico teso a trasferire sulla superficie l’interminabile svolgimento dei segni e della materia, sempre più lieve, delle immagini sottili, le tende, che, emergono dal fondo, recano indizi di emozioni che stentano a placarsi.

Superficie, materia, luce tenue: le «Tende» nascono dagli equilibri che riescono a stabilire questi luoghi essenziali dell’esercizio pittorico di Mattera, appartato come il suo vivere fra il mare e il Castello Aragonese. Adesso Gabriele Mattera ha rimesso in questione gli esiti raggiunti dalle «Tende». Ha aperto, così, un’altra serie, ancora senza nome (si è ricordato). Una serie nella quale appaiono, con evidenza, immagini e figure di uomini. Sembrerebbe un ritorno e uno sguardo al passato, almeno ai «Bagnanti».

Certo, la materia è più spessa e i colori più accesi e vividi, la pennellata, più veloce e più aggressiva, talvolta si contorce su di sé penetrando altri colori, scavandoli e addensandosi sopra. Senz’altro, l’impianto e l’impaginazione delle opere sono più marcati (del resto, sempre i dipinti di Mattera sono costruiti). Non c’è dubbio che da queste superfici telluriche appaiano elementi figurali. Qualche volta, quando il controllo è meno vigile, queste figure tendono ad occupare lo spazio, ad attirare su di loro, più del dovuto, l’attenzione su di loro.

Quasi sempre, però, queste immagini riappaiono sulla superficie, come un’arena, intricate del colore e della materia, dai quali provengono e sono germinate. Riaffiorano, così, forse improvvise, dai colori e dalle pennellate di materia, dai bagliori di luce. Emergono disseminando la superficie, rugosa e accidentata come la vita, di quelle forme che chiamano opere.

 

In quest’ultima serie Gabriele Mattera non ha voluto più rinunziare alla presenza del figurale, non ha resistito alla sua radicale cancellazione. D’altra parte, – a pensarci – mai dal suo lavoro è bandito il figurale o rimossa l’immagine. Il figurale e l’immagine, negli esiti più significativi, si snodano e prendono corpo insieme agli elementi pittorici, germinando proprio da questo nucleo caldo: nucleo che costituisce il filo duraturo della sua fedeltà.

 

Giugno 1996

 

 

 

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